Le
cinte murarie sannite
Il professor Gianfranco De Benedittis
Tutti coloro che hanno a cuore l'archeologia del popolo dei
Sanniti, sanno chi è il professor Gianfranco De Benedittis. Numerosi
sono stati gli scavi da lui diretti fin da decenni addiero quando
iniziò con monte Vairano fra i comuni di Busso e Baranello, nei pressi
di Campobasso. Poi ha scritto e tradotto libri, saggi su riviste
specializzate, conferenze anche all'estero, insegnante all'università
del Molise. Nella stessa regione dove i Pentri abitavano. I loro centri
urbani erano protetti da possenti mura fatte di massi megalitici,
avevano una civiltà che è ancora tutta da scoprire.
Dall'esame
dei resti di monte Vairano si può capire che cosa fosse la vita sociale
dei Sanniti e, nel contempo, la tecnologia costruttiva degli abitati e,
quindi, delle mura.
Per tale ragione il parere del professor De
Benedittis, oltre che studioso del passato, un ricercatore dalla
smisurata passione per l'archeologia, è da tenere nella giusta
considerazione, come di chi ha visto ed estratto la storia dalla
pietre, dalla ceramica, dalla organizzazione urbana dei reperti.
Aveva
un cappellino in testa, forse più per difendersi dall'umidità del
bosco in autunno che dal sole, della ormai appena finita estate,
il quale ancora penetrava fra i rami. E dirigeva due operai
addetti allo scavo di una strada interna all'abitato di monte Vairano
quando l'ho incontrato, umile e contento di parlare con altri che usano
lo stesso linguaggio e mostrano il medesimo entusiasmo verso il mondo
di chi ci ha preceduto su questa terra. La nostra origine, le radici
più lontane del nostro passato, un luogo sotterrato da terra ed erba
oltre che dal tempo, dai secoli. Che vive ancora, che aspetta, che si
manifesta a ogni nuovo colpo di piccone o sotto la stesse mani nude che
spostano la polvere. Poi la gioia, come quella di quando appare
l'intonaco colorato che rifiniva una muratura di fianco, oppure il
canale di scolo delle acque piovane e nere, i marciapiedi, la cunetta,
il selciato fatto di ciottoli del fiume, il Biferno a pochi chilometri
più a valle.
Si sentono gli stessi uccelli che cinguettano come
due o tremila anni fa. Gi occhi di De Benedittis sono lucidi di
allegria, quasi commossi che altri due Sanniti, io e Gianluigi, il
responsabile di una storia di scavi da organizzare sulle Civitelle di
Frosolone, che devono partire con l'ausilio del professor De
Benedittis, si avvicinano in silenzio.
Qui tutto l'ambiente è
sacro, come un santuario, forse ancora da scavare e scoprire, più in
là, appena ci saranno altri fondi, mai abbastanza per la ricerca, mai
sufficienti per sapere quanta ricchezza sia nascosta sotto i nostri
piedi. E ci sono sorrisi di amicizia.
Le mura poligonali
Lui le chiama così, anche se possono apparire poco regolari nei
massi, appena sbozzati, posti in opera quasi di fretta. Infatti è
proprio questa la ragione del suo convincimento che gli fa propendere
per una precisa datazione delle mura dei siti archeologici
sannitici.
C'era
stato il trattato con Roma nel 354 a.C. ma poi era subito scoppiata la
guerra fra Sanniti e Romani, nel 343. Era sorto di colpo il pericolo,
occorreva una difesa rapida di tutti i centri abitati dell'epoca, su
queste alture del Molise. E lì si era dovuto costruire con pietre
appena lavorate, subito deposte a formare una cinta muraria alta e
robusta. Dunque è questa la datazione delle mura megalitiche del
Sannio: il IV secolo avanti Cristo.
E non è vero che non si
conoscesse il ferro, il materiale degli strumenti di lavoro da usare su
questi massi. Era soltanto la necessità impellente di costruire per
motivi militari una cinta muraria che fece lasciare le pietre non
squadrate. Inoltre il muro a secco, incastrato con forme non regolari è
anche più efficace staticamente. Né è possibile che si costruissero
strade, cunette e canali di scolo senza avere la tecnica per spostare
massi di tale grandezza e posizionarli a formare una cinta muraria. (Una teoria che mi ricorda da vicino quella di Adriano La Regina).
Una
spiegazione semplice, come il personaggio, come è pure l'espressione di
chi non nasconde la verità, quella che si cerca anche scavando. Una
sorta di poesia, che piace.
Quando ce ne andiamo, gli prometto di
fargli prima leggere queste brevi note. Era giusto che la sua
datazione fosse sulla rete, fra ciò che si è detto in altre pagine di
questa sezione sull'archeologia.