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Scrivere: L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera


Il nostro giudizio finale
E' impressionante come questo scritto somigli al romanzo di Ernest Hemingway "Per chi suona la campana". Le similitudini non si fermano al tema trattato, anche se in forme diverse, quale la morte contornata da una storia d'amore e dalla scena politica del momento: la guerra civile di Spagna e i carri armati dei russi in Cecoslovacchia. Va oltre perché anche molte situazioni sono sovrapponibili. Per esempio la facilità con cui Tereza s'infila nel letto di Tomas, dopo un'ora dice Kundera, rapidamente come nel caso dell'altro libro. Oppure per la presenza costante del vino, quasi che questa sostanza fosse caratteristica di chi si avvicina alla fine. Ma in Hemigway era terribilmente vera per il suo alcolismo di lunga durata.
In questo caso manca la capacità descrittiva, fantasiosa, esplosiva a tratti del testo di Hemingway. Gli spazi di Kundera non sono fatti immaginare al lettore, si dice anche qualche stupidaggine sull'architettura, (chi non è esperto non deve pronunciarsi  su ciò che non conosce). E' assente la scenografia seppure sembra un testo scritto per il teatro, c'è il quando (la Cecoslovacchia del 1968), ma non i passi che i protagonisti percorrono nei giorni, che cosa mangiano, che cosa si dicono: pensieri fra loro contrastanti e pochissime parole. Un film muto e sordo che parla tramite la voce dell'autore, sempre preponderante, fastidiosa e imperativa, come se al lettore non fosse concesso di immaginare. Tutti gli autori sanno che molto si deve lasciare a chi legge, fargli costruire la storia per ciò che manca. Non renderla rigida e ossessiva, donargli invece la libertà di partecipare. Si è accorto Kundera che quella leggerezza dell'animo, che lui stesso individua come libertà nel testo, sia stata trasformata in pesantezza insopportabile per il lettore? Allora forse è qui la chiave di lettura di questo libro: un testo pesante come un mattone pieno di argilla cotta o di cemento vibrato.
La poesia di Kundera si può assaporare unicamente nelle poche pagine finali sull'agonia del cane Karenin, non altro. Un paio di pagine in oltre trecento che trasudano anche di contorsionismi filosofici per voler dimostrare una propria visione del mondo. Un luogo triste e arido dove non è per niente gradevole vivere. Per fortuna la realtà è ben più multicolore, meno identica a sé stessa dovunque e comunque.
La buona sorte di questo libro, il quale poggia il racconto su invenzioni esagerate, come le duecento donne che sono state a letto col protagonista in vent'anni, come se Praga fosse abitata solo da puttane, è tutta nel titolo e su quel gioco di parole. Una geniale trovata che ha fatto diventare un testo noioso, perché non lascia scorrere una storia per conto suo, con le continue interferenze in prima persona dell'autore, le spiegazioni accurate di posizioni personali, quasi a volersi liberare di pesi indimostrabili e psicotici, un libro di successo. Ci verrebbe da dire che se anche fosse stato stampato con una sola parola in ciascuna delle sue trecento pagine, oppure con trecento pagine completamente bianche, con il solo grande titolo sulla copertina, questo libro avrebbe avuto lo stesso successo editoriale. Che poi debba essere preso a modello, come si sostiene nella presentazione sulla copertina interna, pare una vera sciocchezza. Sarebbe come indicare di emulare chi non è stato capace di risolvere le proprie paure, le proprie indecisioni sull'esistenza umana, chi non ha fede. E significa credere, non per forza in Dio, qui paragonato addirittura alla merda, ma almeno in sé stessi, avere un obiettivo, tentare di raggiungerlo, combattere per esso, e una speranza che non muore. In Kundera tutto, invece, muore, persino il cane per il quale sfodera una giustificazione dell'eutanasia. E tutto è un tradimento, una vigliaccheria, un ritenere che l'oggetto del vivere sia il piacere (forse avrebbe  dovuto approfondire, ammesso che lo abbia letto, Aldilà del principio del piacere di Sigmund Freud a cui pure si ispira per i sogni).
E' strano come mai Tereza, che ama gli animali, non ami quell'altro animale che si chiama figlio di un essere umano. Il tutto è soltanto sesso, istinto che non è spiegato, non dimostrato, nonostante i continui sofismi, non vale come unico momento della nostra vita. Cosicché questo libro non soltanto non può servire da modello, ma non finisce nemmeno con il saper dividere fra loro la leggerezza e la pesantezza, ciò che doveva essere il tema dello studente-autore Milan Kundera.
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