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Tutela delle acque dall'inquinamento e acque reflue
Allegato 7: zone vulnerabili
(DLgsl dell'11 maggio 1999 n.152)
Parti e argomenti della scheda: 
PARTE A - Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola 
PARTE B - Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari 
 
 
 
 

 

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Decreto Legislativo dell'11 maggio 1999, n. 152 
(Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 maggio 1999)
Decreto legislativo recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. 
ALLEGATO 7

PARTE A - Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola 

PARTE AI 

Criteri per l’individuazione delle zone vulnerabili 

Si considerano zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi. 

Tali acque sono individuate in base tra l’altro dei seguenti criteri: 

1. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO-3) nelle acque dolci superficiali, in particolare quelle destinate alla produzione di acqua potabile, se non si interviene ai sensi dell’articolo 19; 

2. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO-3) nelle acque dolci sotterranee, se non si interviene ai sensi dell’articolo 19; 

3. la presenza di eutrofizzazione oppure la possibilità del verificarsi di tale fenomeno nell’immediato futuro nei laghi naturali di acque dolci o altre acque dolci, estuari, acque costiere e marine, se non si interviene ai sensi dell’articolo 19. 

Nell’individuazione delle zone vulnerabili, le regioni tengono conto pertanto: 

1. delle caratteristiche fisiche e ambientali delle acque e dei terreni che determinano il comportamento dei nitrati nel sistema acqua/terreno; 

2. del risultato conseguibile attraverso i programmi d’azione adottati; 

3. delle eventuali ripercussioni che si avrebbero nel caso di mancato intervento ai sensi dell’articolo 19. 

Controlli da eseguire ai fini della revisione delle zone vulnerabili 

Ai fini di quanto disposto dal comma 4 dell’articolo 19, la concentrazione dei nitrati deve essere controllata per il periodo di durata pari almenoad un anno: 

• nelle stazioni di campionamento previste per la classificazione dei corpi idrici sotterranei e superficiali individuate secondo quanto previsto dall’allegato 1 al decreto; 

• nelle altre stazioni di campionamento previste al Titolo II Capo IIrelativo al controllo delle acque destinate alla produzione di acque potabili, almeno una volta al mese e più frequentemente nei periodi di piena; 

• nei punti di prelievo, controllati ai sensi del DPR 236/88, delle acque destinate al consumo umano. 

Il controllo va ripetuto almeno ogni quattro anni. Nelle stazioni dove si è riscontrata una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/L (espressi come NO-3) il programma di controllo può essere ripetuto ogni otto anni, purché non si sia manifestato alcun fattore nuovo che possa aver incrementato il tenore dei nitrati. 

Ogni quattro anni è sottoposto a riesame lo stato eutrofico delle acque dolci superficiali, di transizione e costiere, adottando di conseguenza i provvedimenti del caso. 

Nei programmi di controllo devono essere applicati i metodi di misura di riferimento previsti al successivo punto. 

Metodi di riferimento 

Concimi chimici 

Il metodo di analisi dei composti dell’azoto è stabilito in conformità al Dm 19 luglio 1989 – Approvazione dei metodi ufficiali di analisi per i fertilizzanti. 

Acque dolci, acque costiere e acque marine 

Il metodo di analisi per la rilevazione della concentrazione di nitrati è la spettrofotometria di assorbimento molecolare. I laboratori che utilizzano altri metodi di misura devono accertare la comparabilità dei risultati ottenuti. 

PARTE AII 

Aspetti metodologici 

1. L’individuazione delle zone vulnerabili viene effettuata tenendo conto dei carichi (specie animali allevate, intensità degli allevamenti e loro tipologia, tipologia dei reflui che ne derivano e modalità di applicazione al terreno, coltivazioni e fertilizzazioni in uso) nonchè dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione. 

Tali fattori dipendono: 

- dalla vulnerabilità intrinseca delle formazioni acquifere ai fluidi inquinanti (caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi); 

- dalla capacità di attenuazione del suolo nei confronti dell’inquinante (caratteristiche di tessitura, contenuto di sostanza organica ed altri fattori relativi alla sua composizione e reattività chimico-biologica); 

- dalle condizioni climatiche e idrologiche; 

- dal tipo di ordinamento colturale e dalle relative pratiche agronomiche. 

Gli approcci metodologici di valutazione della vulnerabilità richiedono un’idonea ed omogenea base di dati e a tal proposito si osserva che sul territorio nazionale sono presenti: 

- aree per cui sono disponibili notevoli conoscenze di base e già è stata predisposta una mappatura della vulnerabilità a scala di dettaglio sia con le metodologie CNR-GNDCI () che con sistemi parametrici; 

- aree nelle quali, pur mancando studi e valutazioni di vulnerabilità, sono disponibili dati sufficienti per effettuare un’indagine di carattere orientativo e produrre un elaborato cartografico a scala di riconoscimento; 

- aree in cui le informazioni sono molto carenti o frammentarie ed è necessario ricorrere ad una preventiva raccolta di dati al fine di applicare le metodologie di base studiate in ambito CNR-GNDCI. 

Al fine di individuare sull’intero territorio nazionale le zone vulnerabili ai nitrati si ritiene opportuno procedere ad un’indagine preliminare di riconoscimento, che deve essere in seguito revisionata sulla base di aggiornamenti successivi conseguenti anche ad eventuali ulteriori indagini di maggiore dettaglio. 

2. Indagine preliminare di riconoscimento 

La scala cartografica di rappresentazione prescelta è 1:250.000 su base topografica preferibilmente informatizzata. Il risultato dell’indagine preliminare di riconoscimento, da effettuarsi dalle regioni con il supporto delle ARPA, ove già costituite, laddove non ancora disponibile, deve essere approntato entro un anno dalla emanazione della presente disposizione. 

Obiettivo dell’indagine di riconoscimento è l’individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti. In tale fase dell’indagine non è necessario separare più classi di vulnerabilità. 

In prima approssimazione i fattori critici da considerare nell’individuazione delle zone vulnerabili sono: 

a) presenza di un acquifero libero o parzialmente confinato (ove la connessione idraulica con la superficie è possibile) e, nel caso di rocce litoidi fratturate, presenza di un acquifero a profondità inferiore a 50 m, da raddoppiarsi in zona a carsismo evoluto; 

b) presenza di una litologia di superficie e dell’insaturo prevalentemente permeabile (sabbia, ghiaia o litotipi fratturati); 

c) presenza di suoli a capacità di attenuazione tendenzialmente bassa (ad es. suoli prevalentemente sabbiosi, o molto ghiaiosi, con basso tenore di sostanza organica, poco profondi). 

La concomitanza delle condizioni sopra esposte identifica le situazioni di maggiore vulnerabilità. 

Vengono escluse dalle zone vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile purché continuo. 

L’indagine preliminare di riconoscimento delle zone vulnerabili viene effettuata: 

a) per le zone ove è già disponibile una mappatura a scala di dettaglio o di sintesi, mediante accorpamento delle aree classificate ad alta, elevata ed estremamente elevata vulnerabilità; 

b) per le zone dove non è disponibile una mappatura ma esistono sufficienti informazioni geo-pedologico-ambientali, mediante il metodo di valutazione di zonazione per aree omogenee (metodo CNR-GNDCI) o il metodo parametrico (SINTACS); 

c) per le zone dove non esistono sufficienti informazioni, mediante dati esistenti e/o rapidamente acquisibili e applicazione del metodo CNR-GNDCI, anche ricorrendo a criteri di similitudine. 

3. Aggiornamenti successivi 

L’indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una delimitazione più precisa delle aree vulnerabili. 

Con il supporto delle ARPA, ove costituite, deve essere avviata una indagine finalizzata alla stesura di una cartografia di maggiore dettaglio (1:50.000-100.000) per convogliare la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle zone più problematiche. 

Obiettivo di questa indagine è l’individuazione dettagliata della "vulnerabilità specifica" degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la "vulnerabilità intrinseca" degli acquiferi e la capacità di attenuazione del suolo, dell’insaturo e dell’acquifero. 

Il prodotto di tale indagine può essere soggetto ad aggiornamenti sulla base di nuove conoscenze e dei risultati della sperimentazione. E’ opportuno gestire i dati raccolti mediante un sistema GIS. 

4. Le amministrazioni possono comunque intraprendere studi di maggior dettaglio quali strumenti di previsione e di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati alla valutazione della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi, pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all’interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare con maggiore definizione le eventuali misure da adottare nel tempo e nello spazio. 

PARTE AIII 

Zone vulnerabili designate 

In fase di prima attuazione sono designate vulnerabili all’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole le seguenti zone: 

• quelle già individuate dalla Regione Lombardia con il regolamento attuativo della legge regionale 15 dicembre 1993, n. 37; 

• quelle già individuate dalla Regione Emilia Romagna con la deliberazione del Consiglio regionale del 11 febbraio 1997 n. 570; 

• la zona delle conoidi delle province di Modena, Reggio Emilia e Parma. 

• l’area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all’articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305 del bacino Burana Po di Volano della provincia di Ferrara. 

• l’area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all’articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305 dei bacini dei fiumi Fissero, Canal Bianco e PO di Levante (della regione Veneto) 

Tale elenco viene aggiornato, su proposta delle Regioni interessate, sulla base dei rilevamenti e delle indagini svolte. 

PARTE AIV 

Indicazioni e misure per i programmi d’azione 

I programmi d’azione sono obbligatori per le zone vulnerabili e tengono conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento principalmente agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine, nonché delle condizioni ambientali locali. 

1. I programmi d’azione includono misure relative a: 

1) i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti; 

2) la capacità dei depositi per effluenti di allevamento; tale capacità deve superare quella necessaria per l’immagazzinamento nel periodo più lungo, durante il quale è proibita l’applicazione al terreno di effluenti nella zona vulnerabile, salvo i casi in cui sia dimostrato all’autorità competente che qualsiasi quantitativo di effluente superiore all’effettiva capacità d’immagazzinamento verrà gestito senza causare danno all’ambiente; 

3) la limitazione dell’applicazione al terreno di fertilizzanti conformemente alla buona pratica agricola e in funzione delle caratteristiche della zona vulnerabile interessata; in particolare si deve tener conto: 

a) delle condizioni, del tipo e della pendenza del suolo; 

b) delle condizioni climatiche, delle precipitazioni e dell’irrigazione; 

c) dell’uso del terreno e delle pratiche agricole, inclusi i sistemi di rotazione e di avvicendamento colturale. 

Le misure si basano sull’equilibrio tra il prevedibile fabbisogno di azoto delle colture, e l’apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione, corrispondente: 

• alla quantità di azoto presente nel terreno nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in misura significativa (quantità rimanente alla fine dell’inverno); 

• all’apporto di composti di azoto provenienti dalla mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico presenti nel terreno; 

• all’aggiunta di composti di azoto provenienti da effluenti di allevamento; 

• all’aggiunta di composti di azoto provenienti da fertilizzanti chimici e da altri fertilizzanti. 

I programmi di azione devono contenere almeno le indicazioni riportate nel Codice di Buona Pratica Agricola, ove applicabili. 

2. Le misure devono garantire che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente zootecnico sparso sul terreno ogni anno, compreso quello depositato dagli animali stessi, non superi un apporto pari a 170 kg di azoto per ettaro. 

Tuttavia per i primi due anni del programma di azione il quantitativo di effluente utilizzabile può essere elevato fino ad un apporto corrispondente a 210 kg di azoto per ettaro. I predetti quantitativi sono calcolati sulla base del numero e delle categorie degli animali. 

3. Durante e dopo i primi quattro anni di applicazione del programma d’azione le regioni in casi specifici possono fare istanza al Ministero dell’ambiente per lo spargimento di quantitativi di effluenti di allevamento diversi da quelli sopra indicati, ma tali da non compromettere le finalità di cui all’articolo 1, da motivare e giustificare in base a criteri obiettivi relativi alla gestione del suolo e delle colture, quali: 

• stagioni di crescita prolungate; 
• colture con grado elevato di assorbimento di azoto; 
• terreni con capacità eccezionalmente alta di denitrificazione.
Il Ministero dell’ambiente, acquisito il parere favorevole della Commissione europea, che lo rende sulla base delle procedure previste all’articolo 9 della direttiva 91/676/CEE, può concedere lo spargimento di tali quantitativi. 
 
 

PARTE B - Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari 

PARTE BI 

Criteri per l’individuazione 

1. Le Regioni e le Province autonome individuano le aree in cui richiedere limitazioni o esclusioni d’impiego, anche temporanee, di prodotti fitosanitari autorizzati, allo scopo di proteggere le risorse idriche e altri comparti rilevanti per la tutela sanitaria o ambientale, ivi inclusi l’entomofauna utile e altri organismi utili, da possibili fenomeni di contaminazione. Un’area è considerata area vulnerabile quando l’utilizzo al suo interno dei prodotti fitosanitari autorizzati pone in condizioni di rischio le risorse idriche e gli altri comparti ambientali rilevanti. 

2. Il Ministero della Sanità ai sensi dell’art.5, comma 20 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, su documentata richiesta delle Regioni e delle Province autonome, sentita la Commissione consultiva di cui all’articolo 20 dello stesso decreto legislativo, dispone limitazioni o esclusioni d’impiego, anche temporanee, dei prodotti fitosanitari autorizzati nelle aree individuate come zone vulnerabili da prodotti fitosanitari. 

3. Le Regioni e le Province autonome provvedono entro un anno, sulla base dei criteri indicati nella parte BII di questo allegato, alla prima individuazione e cartografia delle aree vulnerabili ai prodotti fitosanitari ai fini della tutela delle risorse idriche sotterranee. 

Successivamente alla prima individuazione, tenendo conto degli aspetti metodologici indicati nella parte BII punto 3, le Regioni e le Province autonome provvedono ad effettuare la seconda individuazione e la stesura di una cartografia di maggiore dettaglio delle zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari. 

4. Possono essere considerate zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari ai fini della tutela di zone di rilevante interesse naturalistico e della protezione di organismi utili, ivi inclusi insetti e acari utili, uccelli insettivori, mammiferi e anfibi, le aree naturali protette, o porzioni di esse, indicate nell’Elenco Ufficiale di cui all’art. 5 della legge 6 dicembre 1991, n. 394. 

5. Le Regioni e le Province autonome predispongono programmi di controllo per garantire il rispetto delle limitazioni o esclusioni d’impiego dei prodotti fitosanitari disposte, su loro richiesta, dal Ministero della Sanità. Esse forniscono al Ministero dell’Ambiente e all’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) i dati relativi all’individuazione e alla cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari. 

6. L’ANPA e le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente forniscono supporto tecnico-scientifico alle Regioni e alle Province autonome al fine di: 

a) promuovere uniformità d’intervento nelle fasi di valutazione e cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari.; 

b) garantire la congruità delle elaborazioni cartografiche e verificare la qualità delle informazioni ambientali di base (idrogeologiche, pedologiche, ecc.). 

7. L’ANPA promuove attività di ricerca nell’ambito delle problematiche relative al destino ambientale dei prodotti fitosanitari autorizzati. Tali attività hanno il fine di acquisire informazioni intese a migliorare e aggiornare i criteri di individuazione delle aree vulnerabili per i comparti del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonchè degli organismi non bersaglio. 

Il Ministero dell’Ambiente provvede, tenuto conto delle informazioni acquisite e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad aggiornare i criteri per l’individuazione delle aree vulnerabili. 

PARTE BII 

Aspetti metodologici 

1. Come per le zone vulnerabili da nitrati, anche nel caso dei fitofarmaci si prevedono due fasi di individuazione delle aree interessate dal fenomeno: una indagine di riconoscimento (prima individuazione) e un’indagine di maggiore dettaglio (seconda individuazione). 

2. Indagine preliminare di riconoscimento 

Per la prima individuazione delle aree vulnerabili da prodotti fitosanitari si adotta un tipo di indagine, alla scala di 1:250.000, simile a quella indicata in precedenza nella Parte AII di questo allegato. 

2.1 La prima individuazione delle aree vulnerabili comprende, comunque, le aree per le quali le attività di monitoraggio hanno già evidenziato situazioni di compromissione dei corpi idrici sotterranei sulla base degli standard delle acque destinate al consumo umano indicati dal Dpr 236/88 per il parametro 55 (antiparassitari e prodotti assimilabili). 

Sono escluse, invece, le situazioni in cui la natura delle formazioni rocciose impedisce la presenza di una falda, o dove esiste la protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile o da un suolo molto reattivo. 

Vengono escluse dalle aree vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile, purchè continuo, o da un suolo molto reattivo. 

2.2 Obiettivo dell’indagine preliminare di riconoscimento non è la rappresentazione sistematica delle caratteristiche di vulnerabilità degli acquiferi, quanto piuttosto la individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti. 

Per queste attività si rinvia agli aspetti metodologici già indicati nella Parte AII di questo allegato. 

2.3 Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l’applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d’impiego ci si potrà avvalere di parametri, indici, modelli e sistemi di classificazione che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione. 

3. Aggiornamenti successivi 

L’indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una delimitazione più precisa delle aree vulnerabili. 

Questa successiva fase di lavoro, che può procedere parallelamente alle indagini e cartografie maggiore dettaglio, può prevedere inoltre la designazione di più di una classe di vulnerabilità (al massimo 3) riferita ai gradi più elevati e la valutazione della vulnerabilità in relazione alla capacità di attenuazione del suolo, in modo tale che si possa tenere conto delle caratteristiche intrinseche dei prodotti fitosanitari per poterne stabilire limitazioni o esclusioni di impiego sulla base di criteri quanto più possibile obiettivi. 

3.1 La seconda individuazione e cartografia è restituita ad una scala maggiormente dettagliata (1:50.000-1:100.000): successivamente o contestualmente alle fasi descritte in precedenza, compatibilmente con la situazione conoscitiva di partenza e con le possibilità operative delle singole amministrazioni, deve essere avviata una indagine con scadenze a medio/lungo termine. Essa convoglia la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle aree più problematiche, già individuate nel corso delle fasi precedenti. 

Obiettivo di questa indagine è l’individuazione della vulnerabilità specifica degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la vulnerabilità intrinseca degli acquiferi, la capacità di attenuazione del suolo e le caratteristiche chemiodinamiche dei prodotti fitosanitari 

Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l’applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d’impiego ci si potrà avvalere di parametri o indici che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione. Si cita, ad esempio, l’indice di Gustafson. 

3.2 Le Regioni e le Province Autonome redigono un programma di massima con l’articolazione delle fasi di lavoro e i tempi di attuazione. Tale programma è inviato al Ministero dell’Ambiente e all’ANPA, i quali forniscono supporto tecnico e scientifico alle Regioni e alle Province Autonome. 

Le maggiori informazioni derivanti dall’indagine di medio-dettaglio consentiranno di disporre di uno strumento di lavoro utile per la pianificazione dell’impiego dei prodotti fitosanitari a livello locale e permetteranno di precisare, rispetto all’indagine preliminare di riconoscimento, le aree suscettibili di restrizioni o esclusioni d’impiego. 

Non si esclude, ovviamente, la possibilità di intraprendere studi di maggior dettaglio a carattere operativo-progettuale, quali strumenti di previsione e, nell’ambito della pianificazione, di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati al rilevamento della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all’interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare più nel dettaglio le eventuali restrizioni nel tempo e nello spazio nonché gli indirizzi tecnici cui attenersi nella scelta dei prodotti fitosanitari, dei tempi e delle modalità di esecuzione dei trattamenti. 

PARTE BIII 

Aspetti generali per la cartografia delle aree ove le acque sotterranee sono potenzialmente vulnerabili. 

1. Le valutazioni sulla vulnerabilità degli acquiferi all’inquinamento si può avvalere dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) quali strumenti per l’archiviazione, l’integrazione, l’elaborazione e la presentazione dei dati geograficamente identificati (georeferenziati). Tali sistemi permettono di integrare, sulla base della loro comune distribuzione nello spazio, grandi masse di informazioni anche di origine e natura diverse. 

Le valutazioni possono essere verificate ed eventualmente integrate alla luce di dati diretti sulla qualità delle acque che dovessero rendersi disponibili. 

Nel caso in cui si verifichino discordanze con le previsioni effettuate sulla base di valutazioni si procede ad un riesame di queste ultime ed alla ricerca delle motivazioni tecniche di tali divergenze. 

Il quadro di riferimento tecnico-scientifico e procedurale prevede di considerare la vulnerabilità su due livelli: vulnerabilità intrinseca degli acquiferi e vulnerabilità specifica. 

2. I Livello: Vulnerabilità intrinseca degli acquiferi. 

La valutazione della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi considera essenzialmente le caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi presenti. Essa, è riferita a inquinanti generici e non considera le caratteristiche chemiodinamiche delle sostanze. 

2.1 Sono disponibili tre approcci alla valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi: metodi qualitativi, metodi parametrici e numerici. 

La selezione di uno dei tre metodi dipende dalla disponibilità di dati, dalla scala di riferimento e dalla finalità dell’indagine. 

2.2 I metodi qualitativi prevedono la zonizzazione per aree omogenee, valutando la vulnerabilità per complessi e situazioni idrogeologiche generalmente attraverso la tecnica della sovrapposizione cartografica. La valutazione viene fornita per intervalli preordinati e situazioni tipo. Il metodo elaborato dal GNDCI-CNR valuta la vulnerabilità intrinseca mediante la classificazione di alcune caratteristiche litostrutturali delle formazioni acquifere e delle condizioni di circolazione idrica sotterranea. 

2.3 I metodi parametrici sono basati sulla valutazione di parametri fondamentali dell’assetto del sottosuolo e delle relazioni col sistema idrologico superficiale, ricondotta a scale di gradi di vulnerabilità. Essi prevedono l’attribuzione a ciascun parametro, suddiviso in intervalli di valori, di un punteggio prefigurato crescente in funzione dell’importanza da esso assunta nella valutazione complessiva. I metodi parametrici sono in genere più complessi poiché richiedono la conoscenza approfondita di un elevato numero di parametri idrogeologici e idrodinamici. 

2.4 I metodi numerici sono basati sulla stima di un indice di vulnerabilità (come ad esempio il tempo di permanenza) basato su relazioni matematiche di diversa complessità. 

2.5 In relazione allo stato e all’evoluzione delle conoscenze potrà essere approfondito ed opportunamente considerato anche il diverso peso che assume il suolo superficiale nella valutazione della vulnerabilità intrinseca; tale caratteristica viene definita come "capacità di attenuazione del suolo" e presuppone la disponibilità di idonee cartografie geo-pedologiche. 

3. II Livello: Vulnerabilità specifica 

Con vulnerabilità specifica s’intende la combinazione della valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi con quella della capacità di attenuazione del suolo per una determinata sostanza o gruppo di sostanze. Questa si ottiene dal confronto di alcune caratteristiche chemio-dinamiche della sostanza (capacità di assorbimento ai colloidi del suolo, resistenza ai processi di degradazione, solubilità in acqua, polarità, etc.) con le caratteristiche fisiche, chimiche ed idrauliche del suolo. 

La compilazione di cartografie di vulnerabilità specifica deriva da studi approfonditi ed interdisciplinari e richiede l’uso di modelli di simulazione, quali ad esempio PRZM2 e PESTLA.