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Scrivere: Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda


La forma e il linguaggio
Ciò che colpisce immediatamente il lettore di questo romanzo è la forma dello scritto. Se non succede nelle prime pagine, in italiano, quando si presenta il commissario don Ciccio Ingravallo, della collina molisana, si percepisce appena dopo, quando subentra un linguaggio molto personale, anzi rivoluzionario. Da quel momento in poi si parla un misto di italiano, romanesco (moltissimo, ovviamente, dato il titolo del libro), molisano, napoletano e qualche altro del nord Italia.
In primo luogo i periodi che sono anche lunghissimi e senza ritorni a capo, nemmeno se a parlare, in diretta, sia una persona diversa. Questo perché il racconto si snoda come se fossero altri, l'autore, a riferirlo, senza curarsi di immettere il lettore nei momenti dell'azione, anzi, allontanandolo accuratamente per farlo riflettere.
A ciò si aggiunge la punteggiatura fatta di svariati due punti concentrici, di virgole anche dove ci si aspetterebbe nulla, di parentesi con virgolette caporali, mai precisamente distintive di un dialogo fra i personaggi, spesso soltanto pensieri o ricordi, in una sequenza di apparenti confusioni di regole. Quando, invece, sono proprio quest'ultime che vengono puntualmente contestate, rimodulate, riscritte e riformulate a proprio piacimento e nella delizia di chi legge. Il linguaggio è ridicolizzato, (il romanzo "Il linguaggio è ridicolo" ha qualcosa di simile), nel senso che è scomposto e ricomposto come si potrebbe in una musica dove, da parte dell'autore, si eliminano delle note, se ne aggiungono di altre e si va avanti senza soste. Oppure come un pittore mescola i colori, dipinge su un'immagine già pronta, la arrotonda, la fa ad angoli acuti, la rovina o la rinnova, costantemente per ottenere risultati nuovi e diversi. Un'esagerazione di espressività che appare come un vulcano in eterna eruzione.
Le parole sono, così, senza più il loro senso abituale. Se ne inventano di infinite per significare ciò che più da vicino possa toccare la mente o il cuore del lettore. I sorrisi diventano "merulani", l'incedere "carabinieresco", come la frusta del carrettiere si trasforma in "canna da pesca", poi i versi delle galline, i rumori della bicicletta, della motocicletta, delle grattatine nei capelli, tutto onomatopeico. Per non parlare dei continui riferimenti, incidentali, alla situazione politica del tempo, al Signore di palazzo Chigi che, spesso, entra come paragone di altri fatti descritti nella storia.
In questo senso, se la sostanza equivale alla trama del romanzo, agli eventi del giallo, bisogna dire che il testo è ricco di forma. Essa, generalmente se non sempre, è indice di arte se è vero come il fascino della lettura e della scrittura, proviene proprio da essa. Con la forma si possono scavare le intimità del personaggio, fargli riferire ciò che si vuole, ciò che serve a capire, quanto importa maggiormente ai fini del romanzo. Chi mai direbbe che le migliori espressioni non siano laddove non c'è bisogno di usare il ragionamento? Ossia nella musica come nella pittura, e nella poesia se ci si riferisce al linguaggio parlato e scritto?
Dove, cioè, tutto è di immediata comprensione, senza spiegazioni, aldilà delle regole.
La forma e il linguaggio di questo libro, dunque, seppure ci sia qualche critica da fare, per altri versi, è di un livello altissimo. Il testo è da leggere, specie da parte di chi ama scrivere, per imparare ciò che quasi nessuno osa insegnare, e mantenere sempre nella propria biblioteca, come pietra miliare della nostra letteratura.
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