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Scrivere: Per chi suona la campana di Ernest Hemingway


La lentezza
Le prime centocinquanta pagine sono in gran parte inutili, giacché si poteva raccontare tutto in meno di un terzo di esse. Troppi sono i dialoghi senza soste, lunghi e stucchevoli. Come se si trascorressero i giorni, in uno dei due temi, guerra e amore, soltanto a chiacchierare. Inoltre, tali dialoghi vertono sui particolari esageratamente, a scandire ogni gesto, quasi una cronaca, che danno un'altrettanto esagerata lentezza al racconto. E' come se i personaggi coinvolti non si capissero fra loro a avessero bisogno di aggiunte, spiegazioni, ripetizioni di frasi o argomenti.
Pare di vedere tutti che camminano con passo stanco, con pensieri lunghi sul passato, con un tempo che non si paga, dilatato dalla sua reale dimensione, lo stesso che dovrebbe impiegare chi legge per procedere. Mai un cambio di ritmo che rimane persistentemente uguale e monocorde. Eppure si tratta di un attentato a un ponte, una guerra civile, dove dovrebbe esserci la velocità delle azioni, almeno in qualche momento, e anche l'entusiasmo di chi agisce per una causa che ritiene giusta. Ma Robert, il protagonista, ci crede o non ci crede nelle sue azioni volontarie?
Invece si ride rarissimamente, persone tetre, chiuse in sé stesse e negative (si deduce, anche da parte di un lettore che non lo sappia, come doveva essere il carattere dell'autore: malanni depressivi e disturbi psichici). Si ricava l'immagine di un mondo pessimista, buio, nero da cui si estraggono le motivazioni psicologiche degli atteggiamenti soltanto a fatica: un ambiente di morte ma trattato come se fosse una commedia, un teatro. Anche la tensione dei momenti delicati scompare subito per lasciare spazio, di nuovo, ai dialoghi troppo spesso sulle minuzie.
In questo mondo grigio ci sono pochi tratti di colore, quasi sempre l'azzurro, come il cielo o gli occhi di molte persone descritte. Probabilmente è un simbolo inconscio che avverte Hemingway: il suo bisogno di altro, di credere.
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