Archeologia
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Una giornata di primavera alle Civitelle, tremila anni fa
 
Come si svolgeva un giorno qualsiasi, in primavera, nell'antico Sannio

Il risveglio

A 1200 metri, in montagna, la primavera arriva quando vuole. Non appena c'è un giorno di sole, anche se a terra ancora persiste qualche centimetro di neve, si può dire che sia arrivata la buona stagione. Il sole tramonta più tardi, c'è più tempo per lavorare, ci sono tante faccende da sbrigare, nell'abitato e nella campagna appena sotto, dove il clima è più gentile. E poi i pascoli, perché non è possibile tenere le greggi e le mandrie ancora troppo chiuse dentro le stalle. 
Le donne hanno già un bel da fare alla sorgente, a qualche centinaio di metri più in basso, vanno con i muli e portano i panni a lavare. Per una volta non sono loro che devono dedicarsi all'agricoltura, o perlomeno soltanto a essa.
I maschi sono già all'opera per continuare la cinta delle mura. Molti massi sono ancora da sistemare in opera e l'aria frizzante del mattino aiuta a destarsi da un lungo inverno. Il responsabile del villaggio ha già approntato un progetto di come portare avati le opere vecchie e come di cominciarne di nuove. Ha già fatto il giro delle case per controllare i problemi causati dalla neve e dal ghiaccio, i bambini sono stati visitati come se il capo fosse anche capace di curarli nel fisico. Ma ha per loro una buona parola che, spesso, funziona meglio di ogni medicina.
Il vociare della gente è sintomo di ottimismo, le pecore belano, si sentono i calpestii degli zoccoli sull'erba fresca e i rovi secchi che si frantumano al passaggio dei buoi, molti animali che paiono ridere al nuovo sole. E' ancora freddo ma non importa, il territorio a valle appare verde e brillante.

I lavori

I ragazzini si sono svegliati presto, come tutti, non vedono l'ora di continuare a scorrazzare nei prati, nei campi e accanto ai genitori che lavorano su cose più complicate. Si sentono già adulti e poggiano una mano sulle pietre da spostare, chiudono gli occhi perché i raggi, da lontano, sono bassi, osservano, imparano. Hanno già retto i muli e gli asini che venivano caricati dalle madri di indumenti da pulire alla sorgente. Qualcuno ha preferito andare con loro, le femminucce, a stendere poi i panni al sole, ci vuole tutta una mattinata per riportarli asciutti a casa. D'inverno ne sono stati lavati ben pochi, non era possibile con il freddo della zona. E scendono cantando, davanti a tutti, sanno la strada, l'hanno percorsa altre volte, sono padroni della loro montagna.
La squadra addetta al pascolo, è composta dai giovani del villaggio. Devono salire verso le colline senza rocce, lungo sentieri che s'inerpicano fino a quote superiori, dove il sole ha già sciolto le nevi e dove l'erba è fresca e profumata di fiori.  Alcuni cani fanno da guardia e da custodi delle pecore, delle capre, delle mucche. Quest'ultime sono separate, se ne vanno altrove, dove c'è minore salita, accompagnate da uomini a cavallo. Fischiano tutti per dimostrare chi comanda e governa le azioni.
Si mangerà sul posto di lavoro, ciascuno per conto suo,  si è portato da casa del pane e del formaggio, ha anche della frutta secca e un piccolo otre di vino, soltanto per chi sia di età superiore. Per le donne si misurava con l'inizio del ciclo, per i maschi con qualche anno in più. Ed entrambi non vedevano l'ora di mettere su famiglia. Sorridevano agli sguardi della primavera. Perchè era passata la stagione che misura le età. Ciascuno aveva i suoi inverni sulle spalle.

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