La montagna
Per capire come possa essere stata una giornata qualsiasi sulle
montagne dove ora sono i resti delle mura megalitiche delle Civitelle,
nel Sannio, bisogna sapere a quanti metri sul mare ci troviamo. Sono
circa 1200 metri. Quindi un'area, ricca di zona rocciose e di boschi,
dove durante la stagione fredda diventa quasi impossibile viverci, se non
ben equipaggiati, ancora oggi. Possiamo figurarci tremila anni fa. A ciò
vogliamo riferirci, nel tempo, quando l'unico modo di riscaldarsi era
un camino a legna. E non possiamo credere che quei luoghi, con mura di
cinta anche lunghi cinque chilometri, potessero essere occupati
solamente per rifugio di greggi di pecore e capre, oppure per
nascondersi quando ci fosse stata una battaglia.
Molti
studiosi,
anche celebri, persino francesi, (i quali dovrebbero avere qualche
esperienza in più, rispetto agli italiani, di grotte preistoriche), non
credono che sia stato un posto abitato.
Evidentemente non hanno conosciuto che significa vivere all'età della
pietra, sono persone di città, abituate al caldo dei termosifoni,
oppure alle comodità di chi non sa i sacrifici che si fanno dove il
clima non è dolce, non è gradevole, non sembra mai amico.
Ebbene,
l'età della pietra c'è stata fino a qualche decennio fa sulle montagna
degli Appennini centrali e meridionali, nelle stesse terre dove
vivevano i Sanniti o chi li abbia preceduti. Inverni micidiali, anche
con metri di neve lungo le strade dei piccoli borghi, con i tetti che
si sfondavano per il carico, con la fame che serpeggiava in molte case.
Nell'epoca moderna, appena dopo gli anni cinquanta del secolo scorso.
Chi
ha sofferto tutto ciò può parlare. E io posso scrivere come vivessero
anche tremila anni fa, i progenitori di queste genti.
La vita media
Come si è già detto in un'altra pagina, occorre sapere quale fosse la vita media
della popolazione di allora. Dal grafico si ricava che i maschi avevano
un'età media, alla morte, intorno ai 39 anni, mentre le femmine intorno
ai 32.
In questa condizioni si può capire come ci potessero essere
decessi durante la stagione fredda. Ancora oggi, nello stesso comune in
cui ricade l'area archeologica delle Civitelle, a Frosolone, muoiono
molto più spesso d'inverno che nelle altre stagioni i suoi abitanti.
Dunque nessuna meraviglia che i malanni fossero maggiori e più deleteri con il freddo
e, di conseguenza, anche le partenze senza ritorno.
Tutto
questo
era ben risaputo da chi abitava in tali condizioni, perciò l'inverno
era anche la stagione in cui, pure per motivi di calore, in tutti i
sensi, i giovani si accoppiassero di più. C'è da ricordare
che l'inverno a 1200 metri di quota, comincia già appena dopo un
mese di
autunno, a ottobre, anche se quest'ultima stagione può essere
considerata a
partire dalla fine di agosto, con le prime piogge. Insomma tutto il
calendario meteorologico è diverso e le estati molto più corte.
I lavori
Se è così, quali lavori si potevano portare avanti quando il clima è particolarmente freddo?
C'erano
da governare gli animali. Le stalle, al coperto, esistevano
sicuramente. Non è possibile ritenere che con una vita che durava
pochi decenni, ci fosse anche una proprietà privata molto
evidente. Le greggi, per forza di organizzazione sociale, dovevano
essere parte e possesso di tutto il centro abitato, appartenere a tutta
la popolazione, pubbliche. Se fosse diversamente, che cosa poteva accadere quando,
per normale accadimento della vita, i genitori, ragazzi, diremmo oggi,
morivano lasciando bambini ancora in tenera età senza una guida e una
protezione?
Non occorre rispondere che doveva essere una società
basata su una serie di fattori in comune. Soprattutto, perciò, gli
animali allevati. Con i prodotti, fra cui carne, latte, lana, a
disposizione di ciascuno, secondo le necessità.
D'inverno ci si
cibava di tutto ciò che, anche, fosse stato raccolto e custodito in
appositi locali pubblici. Il farro soprattutto, ma anche legumi, come i
ceci, datati al XIV secolo avanti Cristo, di cui sono stati trovati resti negli scavi del 2013 di Oratino,
nei pressi di Campobasso, non molto distante dalle Civitelle di cui,
come esempio, trattiamo.
Ma
anche noci, mandorle, castagne, frutta secca
opportunamente preparata in estate o nel pur breve autunno. Oppure
funghi, seccati al sole di
maggio, perché in queste terre è il mese della maggiore raccolta,
freschi ancora all'inizio dell'inverno. O le mele e le pere che sono
sempre state abbondanti quassù, o i fichi raccolti a ottobre.
C'erano
gli artigiani del villaggio, ma un po' tutti si dedicavano a preparare
oggetti, soprattutto di legno, che servivano già dalla prossima
primavera. Molti facevano le manutenzioni ai mezzi di trasporto,
c'erano da completare le cinte murarie, occorreva avere in efficienza
le carriole, o se ne costruivano di nuove, per caricare i massi. Altri si dedicavano alle funi, sempre
necessarie per legare i muli, i cavalli, o ciò che avrebbero portato in groppa.
Appena c'era una giornata di sole, pur nel freddo
dell'aria, si usciva a spaccare la legna. Non erano molte le asce e si
faceva a turno, scambiandosi gli attrezzi di bronzo. Tutte le mattine
venivano riempiti i secchi di legno con il latte della mungitura, poi
c'era la distribuzione. Prima ai bambini.
Chi
si dedicava ai
formaggi li portava a ogni famiglia, in base al numero dei genitori,
che non sempre erano due, e dei figli, sempre parecchi. Il
responsabile della popolazione era vigile, comandava, era rispettato.
Non
poteva essere diversamente per poter far continuare la vita. Se il
numero dei bambini fosse scemato, sarebbe stata la fine di tutta la
civiltà. Non fu un caso che ci fu, a partire dal IV secolo avanti
Cristo
la necessità di andare oltre, cercare altre terre e sistemarsi dove
l'agricoltura fosse più redditizia.
Poi c'erano da riparare le
coperture delle case. Qualche elemento del tetto, di argilla cotta, si
era spezzato per cattiva fabbricazione, per il gelo consistente, per
l'acqua che si era infiltrata nei minuscoli fori spaccando il
materiale. Si approfittava di tutto questo necessario lavori quando
c'era il sole. Altrimenti gocciolava dentro la stessa casa. Una stanza
sola, come la dimora scoperta a monte Vairano, non molto distante da
qui, seppure appartenente a secoli dopo.
Il
camino era sempre
acceso, attorno a esso si progettava il futuro, quello immediato, con
la prossima primavera, quello lontano, con le cinta murarie di
difesa da completare. E i tegami di terracotta sempre con l'acqua
bollente sul fuoco, poi la carne di agnello arrosto con contorno di
tuberi (probabilmente quelle che ancora oggi chiamano cardogne).
Perché il macello era una continua fabbrica di costolette e di
cosciotti. Chissà che direbbero i vegetariani di oggi, del mondo che ha
tutto e si lamenta pure di tutto!
E poi il pane, sotto forma
di pizza, e i dolci, conditi col miele di cui tutti erano ghiotti, come
succede quando c'è freddo e il dolce nel palato riscalda anche il
cuore. Le madri si occupavano anche dei filati, con aghi di legno
duro. Qualcuno pensava a come organizzare meglio gli spazi pubblici:
c'era da allargare l'utlima cinta muraria, forse. Per questo tutti
pregavano, al santuario nella parte più alta, dove si godeva del
paesaggio imbiancato delle valli fino all'orizzonte, e dove il monte
sul lato sud ovest doveva apparire come una divinità cui affidarsi.
Ai piccoli si diceva come provvedere se, per
caso, fossero mancati mamma e papà. Ma quelli crescevano in fretta:
avevano il coraggio di chi sa soffrire di natura e non avevano tempo per piangere.