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Scrivere: Per chi suona la campana di Ernest Hemingway

Prime impressioni del lettore
Il titolo di questo libro sarebbe, letteralmente dall'inglese, "Per chi suona a rintocco la campana", dunque a morto. E il senso della morte pervade tutte le lunghe pagine del testo, sotto qualsiasi forma: ambiente privo di allegria, dialoghi nei quali non si ride mai, personaggi che non scherzano, seri, ubriachi, puzzolenti, sentimenti di odio, uccisioni, continui pensieri della fine, persino di suicidi. Si direbbe che siamo in un'azione di guerra che è maledettamente una cosa seria. Però mancano anche altri fattori che rendono il mondo descritto nero e pessimista.
Chi si accinge alla lettura del romanzo si accorge ben presto di quanto sia zeppo di dialoghi e poche descrizioni o interventi diretti dell'autore nella composizione dell'opera, nella costruzione dei caratteri, nella narrazione in sé che avviene di rado. Il lettore, inoltre, trova oltremodo fastidioso, immediatamente, che ci siano tantissimi verbi "disse" per riferirsi a chi ci accinge a parlare o lo abbia appena fatto in quel momento. Ne abbiamo contati una quindicina in molte pagine del libro, ossia una ogni due righe di scrittura su una cartella di quaranta righe. In tutto il testo ne saranno alcune migliaia!
Si nota che manca il cuore, se ne nota in poche pagine verso il centro del romanzo e verso la fine. All'inizio pare tutto bloccato attorno ai dialoghi. Allora viene spontaneo qualche confronto con altri scritti su ambienti di guerra: "La piccola vedetta lombarda" dal libro "Cuore", appunto, di Edmondo De Amicis e una canzone di Francesco De Gregori, "Generale".
Il racconto La piccola vedetta lombarda è carico di poesia, di affetto per il ragazzino sull'albero, per il suo disprezzo del pericolo, pietà e ammirazione per la sua fine innocente. Il lettore sente il proprio cuore palpitare mentre legge quelle pagine.
Nel Generale, invece, si nota la delicatezza delle descrizioni, l'immediatezza, in poche pennellate di colore, di che cosa possa significare la guerra per chi lavora nei campi, i giovani che sentono l'ardore dell'amore, poi il simbolo del comando che diviene pianto.
Il paragone, ovviamente senza dare giudizi di qualità, serva soltanto a interpretare in quanti modi diversi si possono esprimere i medesimi concetti.
Nel romanzo di Hemingway, premio Nobel per la letteratura nel 1954,  si avverte un'unica musica, anzi una nota sola che, terribilmente, stanca e annoia. Anche l'amore, pure trattato in alcuni passaggi con la dovuta tecnica e qualche attimo di poesia, finisce nella bottiglia dell'egoismo, difficile da scoprire se non con la riflessione acuta: perché il protagonista vuole morire da solo e non anche con la sua fidanzata? Per lasciarla sola su questo mondo, come lo descrive Hemingway, a soffrire? Dunque il contrario di "Romeo e Giulietta", come se non fosse maggiormente simbolo di amore chiedere la morte per l'altro che si ama, invece che per sé stessi. Chi potrebbe vivere da solo?
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