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Figure retoriche: il disfemismo

Disfemismo
Si tratta di una figura retorica, contraria dell'eufemismo, che consiste nell'uso di termini anche dispregiativi, o sgradevoli, con intento scherzoso.
Essa è comune nella lingua parlata e nei dialetti locali. E serve a dimostrare amicizia o affetto verso il soggetto al quale viene attribuito il termine.
Questa è una frase in cui esiste un disfemismo:

"Gli ho detto cento volte che non preferisco cenare al ristorante, ma lui è un testone e gliel'ho data vinta."

Ben diverso sarebbe il significato di testone se fosse usato in una proposizione negativa, in cui si parlerebbe, per esempio, di uno scolaro che non studia.
Dunque il disfemismo cambia il senso di uno stesso vocabolo che acquista, pertanto, valore positivo. Si usa questa figura retorica nella narrativa soprattutto, meglio ancora nei dialoghi dove più ci si avvicina al parlato e si fornisce l'idea che il racconto sia aderente alla realtà di tutti i giorni. Più difficile è trovare un disfemismo nella poesia, se non nei componimenti scherzosi come quelli di Trilussa.
Come per le altre figure retoriche non è opportuno usare continui disfemismi per non abbassare il tono della efficacia. A meno che il personaggio non abbia un suo linguaggio particolare.
Qualora desiderassi verificare che cosa sono le figure retoriche e come si possano utilizzare nella narrativa, in un esempio di romanzo che ti aiuti nella stesura del tuo, vai a questa pagina. Se, invece, già hai un manoscritto e ti occorre un'operazione di correzione o di editing, o qualunque altro tipo di consiglio per pubblicarlo, visita questi nostri servizi.

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