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Il termine, dal
greco antico, significa ambiguità.
Ecco la definizione tecnica presa dal vocabolario d'italiano: "Ambiguità di un'espressione o di un discorso interpretabili in due modi." Un esempio tratto dalla poesia del Carducci, San Martino, è il seguente verso: "...e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar." Dove non è del tutto chiaro se il soggetto sia il mare che urla e biancheggia. Oppure il maestrale, come ritengono molti critici, nel cui caso urla è usato transitivamente (nel senso di fa urlare ma molto più espressivamente, giacché pare il vento stesso attore, come in effetti è, il mare). E viceversa siano complementi gli altri rispettivi vocaboli. Vi è da dire che esiste un senso della frase nell'uno e nell'altro caso. L'anfibologia s'incontra tutte le volte che il verbo possa essere associato all'uno o all'altro termine della proposizione (soggetto e complemento), rendendoli equivalenti in uno dei due significati. In alcune favole possiamo trovare le due diverse e ambigue frasi in cui, di seguito, abbiamo messo in grassetto il soggetto. Senza di ciò, tutto sarebbe indistinguibile: "Il principe baciò la rana." "La rana baciò il principe." Se non occorre essere per forza interpretabili correttamente, quando si voglia lasciare il dubbio in chi legge, più che altro nella poesia, allora l'anfibologia ha un suo valore. Diversamente si consiglia di non usarla, specie se si ha a che fare con un racconto in cui anche un breve episodio può stravolgere la trama. Oppure la si adoperi per essere poco chiari, magari in un giallo che non fornisca strade certe durante la lettura, se non alla fine. Qualora desiderassi verificare che cosa sono le figure retoriche e come si possano utilizzare nella narrativa, in un esempio di romanzo che ti aiuti nella stesura del tuo, vai a questa pagina. Se, invece, già hai un manoscritto e ti occorre un'operazione di correzione o di editing, o qualunque altro tipo di consiglio per pubblicarlo, visita questi nostri servizi. Torna all'indice delle figure retoriche. |
