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Figure retoriche: l'anadiplosi

Anadiplosi
Il termine, dal greco antico, significa duplicazione.
Si tratta della ripetizione degli ultimi elementi di una frase inserendoli, identicamente, all'inizio della successiva.
Ecco un esempio tipico:

"Non vedevo l'ora di tornarmene a casa. A casa dove c'era la mia intera famiglia ad aspettarmi per il Natale."

Appare evidente come il concetto di casa sia rafforzato dalla ripetizione a così poca distanza. Giacché, mentre nel periodo è bene che lo stesso termine non compaia più volte in poche righe, non così è quando volontariamente la duplicazione è pensata per ravvivare l'idea espressa. Ossia in adiacenza, appunto.
L'uso di questa figura retorica è presente molto nella poesia, ma anche nella narrativa esiste la tecnica di adoperarla per puntualizzare un pensiero che ricorre nella mente del personaggio o dell'autore.
Talora questa figura può rappresentare, soprattutto nel dialogo, chi abbia problemi di comunicazione verbale, ossia chi sia affetto da turbe di natura psicologica. Come può essere evidente in questa frase di esempio:

"Ho detto a mamma che tu mi picchi. Mi picchi!"

Sarà l'autore che deve rendersi conto quando l'uso dell'anadiplosi possa risultare migliorativo del testo oppure quando, per non incorrere in espressioni ridicole, possa apparire inutile e dannoso.
Qualora desiderassi verificare che cosa sono le figure retoriche e come si possano utilizzare nella narrativa, in un esempio di romanzo che ti aiuti nella stesura del tuo, vai a questa pagina. Se, invece, già hai un manoscritto e ti occorre un'operazione di correzione o di editing, o qualunque altro tipo di consiglio per pubblicarlo, visita questi nostri servizi.

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