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ROMA
 


Ricordi di ROMA 
Quando giunsi a Roma, da studente universitario, avevo davvero una valigia di cartone e pesava come se fosse di piombo. Tant’è che, arrivato all’altezza del cinema Brancaccio, mi si aprì letteralmente mostrando a tutti i passanti il suo contenuto: panni, mutande, maglie, camicie, pantaloni e qualche cosa da mangiare. La dovetti portare sotto braccio con uno sforzo indimenticabile per quegli altri tre o quattrocento metri che mi separavano dal 183 di Via Merulana: la casa di mio zio.
Trovammo subito una pensione, nella vicina Via Labicana, e la proprietaria di un appartamento grande e tutto per me (ma non avevo capito che ci sarebbero venuti ad abitare altre sconosciute persone) chiese all’inizio 30'000 lire al mese. Ma poi, grazie alle capacità di convincimento di mio zio, scese addirittura a meno di 15'000 lire. 
La mattina mi alzavo presto perché il tram costava solo la metà, 25 lire all’epoca, invece della corsa normale di 50 lire. Ciò avveniva prima delle 8 se non mi ricordo male. I primi mesi passavano tra una miriade di scioperi che per me, che venivo dalla provincia, erano cose incomprensibili: qualche volta dovetti farmi a piedi da Valle Giulia fino alla mensa universitaria nei pressi del Verano. Diciamo che erano una decina di chilometri a giudicare dal paio d’ore di passi che feci. Alla fine avevo anche pensato di abbandonare l’università e tornarmene a casa a fare il falegname, un mio antico desiderio da bambino, poi sfociato in un hobby molto soddisfacente. 
Roma era grande e bella, incommensurabilmente bella. Centro del mondo, quello fisico e quello del tempo, della storia: camminando per le sue strade alberate si respirava l’antichità, la cultura della nostra civiltà, il massimo di tutto. Ero solito dire che se fosse stata una donna l’avrei sposata. 
A dicembre di quell’anno, anche se non avevo ancora finito il mese d’affitto, mi trasferii da alcuni amici che avevano un appartamento in Via Giolitti, una strada che per molti del mio paese sarebbe stata famosa perché in quella stessa casa sarebbero passati decine di studenti, cento cose da raccontare. Poi andai via anche da lì, cercai la mia strada e ne passai di tutti i colori: stetti con altri amici, in un altro appartamento nei pressi della stazione, poi ne presi uno per conto mio, ma era molto piccolo e vecchio. Lì vissi prima con un collega greco, un certo Giorgio che si innamorò di una mia amica già fidanzata con un mio amico e per la quale situazione dovetti impegnarmi per evitare disastri. Giorgio capì perché era molto intelligente, ma poi lo persi di vista, andò via e non l’ho rivisto più. 
Il suo posto fu preso da uno studente palestinese fidanzato con una ragazza di Alessandria che parlava molto bene l’italiano ed avevo creduto che fosse piemontese, invece era egiziana. 
Alla fine andai a finire alla Casa dello Studente con una cameretta tutta per me e mi pentii che non avessi fatto prima quella scelta. La mattina avevo la possibilità di fare un’abbondante colazione e per me, che avevo sempre fame e pesavo meno di 60 chili per un metro e ottanta di altezza, era una cosa meravigliosa. Poi prendevo dei buoni anche per i miei amici e così facevamo colazione in tre gratuitamente, o meglio compreso nella borsa di studio che avevo. 
Prima di andare alla Casa dello Studente avevo girovagato in varie pensioni.  
Una volta che ero ad aspettare Fabrizio De Andrè che doveva cantare a Piazza Navona scoppiò un furibondo acquazzone. Avevo cercato di ripararmi qua e là, ma ero stato investito in pieno dall’acqua dal cielo. Decisi di camminare tranquillamente come se nulla fosse ed arrivai a casa, in Via Leonina, zuppo fradicio, con i passanti che mi guardavano e ridevano. Non l’ho fatto mai più anche perché nei giorni seguenti mi venne un terribile mal di denti. 
Quando mi laureai fu un giorno anche un po’ malinconico perché persi per sempre molte cose lì a Roma, compreso delle persone che non avrei mai più riviste. 
Adesso sono solo ricordi e sono molto felice accanto alle mie due bambine che mi aiutano molto a tenere in ordine questo sito. 
Dal mio paese, 2 febbraio 2006 
Raffaele 
 
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