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Pompei
 


Visitare Pompei 
Appena entri nella città romana, negli scavi, ti assale un'aria differente da quella movimentata dell'esterno. Senti subito di avere oltrepassato la soglia del tempo. Ti sei tuffato in un'altra epoca. L'arena. La prima sagoma sulla tua destra è ad aspettarti. Ti riesce difficile capire dove entrare, ci giri intorno poi scendi che bisogna passare dentro una zona coperta per giungere nell'ampio spazio dove, un giorno, c'erano spettacoli e giochi. E resti senza fiato.
Una costruzione che non sembra possibile in una città che, si dice, avesse diecimila abitanti. E allora conti i posti a sedere, sulle gradinate, quelle rimaste su un angolo dell'intera cavea. E poi stimi il resto, spostando gli occhi a misurare gli spazi, tutt'intorno. Arrivi a quindicimila, forse ventimila. E come mai una città avesse tanti posti se i suoi abitanti erano la metà? Hai un primo indizio di altri numeri.
Vorresti restare seduto a respirare quella forma, a vedere quegli spettatori che si agitanto in cima, che applaudono e che sembrano allegri. Lo sono, perché no? Pompei vive ancora, incantevole e grande.
Ancora ci sono i vitigni di allora, poco distanti, recuperati e che danno un vino magnifico, quello che i romani apprezzavano, lo mescolavano con l'acqua, lo bevevano così. Lo conservavano nelle botti di piombo, tossiche. Non lo sapevano.
Una lunga strada s'infila dentro la città. Cambi direzione più volte agli angoli retti che incontri. Prendi per quella più larga che s'incunea, curva leggermente, è ampia come un viale di oggi, senza alberi, pavimentata di grosse pietre, consumate dal passeggio di persone, come se dal 79 dopo Cristo ancora ci passassero, o ci fossero passati anche prima che Pompei fosse scoperta, dalle sue ceneri. Il foro. Di colpo.
Non è possibile che uno spazio così vasto sia stato pensato per i soli diecimila abitanti di questa città. Oppure erano il doppio? Hai un secondo indizio. Non puoi passare oltre, ti devi fermare. Il luogo è molto visitato. Gente di tutto il mondo e a ragione: qui siamo nell'unica città romana che ci è rimasta. Quasi intatta, almeno per la sua urbanistica, che le strade sono là, le quinte murarie pure, i particolari che ti fanno apparire questo posto come vivo. Le fontane agli incroci, che mostrano la pietra consumata dove poggiavano le mani i bambini per curvarsi a bere, i grandi, assetati tutti che siamo al livello del mare.
Sì, il porto, il macellum, ora chiamato mercato. Per una popolazione molto numerosa. Terzo indizio. I templi maestosi, lunghe serie di colonne. Troppi edifici pubblici tutti raccolti attorno al foro per una piccolo centro. Quarto indizio.
Poi le terme. Da altri scritti e testimonianze Pompei doveva avere una decina di lupanari. Le prostitute. Esistono dove c'è traffico, gente. Quinto indizio.
E le strade hanno ancora i passaggi pedonali, fatti di massi che disegnano le nostre zebre. Che si sollevano dal livello più basso per consentire di passare da un lato all'altro dei marciapiedi senza scendere e risalire dall'altra parte. Ingegnoso. I carri passavano negli spazi lasciati liberi tra due pietre così disposte e fisse al suolo. Il cavallo al centro e le ruote dei mezzi più in là, in modo che tra animale e singola ruota ci fosse un masso per i pedoni. I i ferri che proteggevano i legni hanno scavato grossi solchi come binari, in queste stesse strade. E poi le case.
Tutte le costruzioni sono di grandi dimensioni, adornate di cortili interni, porticati, affrescati, verde e acqua un po' dappertutto. Pompei era ricca e economicamente molto avanzata. Potrebbe essere un altro indizio di una popolazione numerosa.
Infine l'estensione di questi scavi, cincondati da mura. Li puoi misurare raffrontandoli con un centro medioevali che conosciamo. Vedrai che il rapporto sarebbe di dieci a uno. Pompei è dieci volte più grande di un centro storico di una cittadina che aveva, una volta, diecimila abitanti. Tanti indizi tutti concordanti fanno una prova. E, forse, qui c'erano anche più di ventimila persone a vivere. A vivere e a morire quel dannato giorno del 79 dopo Cristo, quando il Vesuvio decise di archiviare la storia per mostrarla a noi.
Quel bambino di gesso, conservato in un magazzino del foro di Pompei, che si copre gli occhi, che piange o non vuole vedere la tragedia è rimasto così nei secoli, arrivato fino a noi a farci immaginare tutto. La sua storia? Raccontata nel romanzo Nigra nubes incurrebat. E non puoi dimenticare ciò che hai visto tu, in questa gita oltre il tempo.

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