Una gita a...
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Codigoro (FE)
 


Visitare Codigoro 
Quando pensi a Codigoro non puoi fare a meno di farti venire in mente l'abbazia di Pomposa. La vedi come se fosse davanti a te, famosa e grandiosa, con il suo altissimo campanile che richiama il territorio, e la sua parte bassa che si mette in un particolare contrasto anche simbolico. Poi esamini la composizione della costruzione più alta che si alleggerisce a mano a mano che si sale con lo sguardo. Giacché i fori da uno diventano due, a coppia, poi trifore e a quattro elementi in cima. Ne apprezzi la dimensione solo se ci sono persone in basso, ai piedi, magari una scolaresca che è in gita di istruzione, con il professore di architettura o storia dell'arte che parla e spiega. E tutti attenti. Allora puoi fotografare e prendere tutto da lontana. Per un ricordo futuro.
Ascolti gli uccelli sui rami, ripensi a un frate che si era seduto accanto a te, ti scuoti, ti siedi su una panchina del giardino. Sei già stato all'interno, hai assaporato l'aria della storia, quella che si avverte mentre fai i passi lenti nella chiesa. Guardi le figure sante, le analizzi, leggi le scritte sotto di esse, interpreti.
Tutta pianura quella attorno a Codigoro, che si può anche correre con l'automobile fino a Ferrara. Ma non troppo, ci sono gli alberi di lato, è pericoloso. Un incidente è sempre possibile.
Ecco il frate. Ma che cosa vuole? Si siede accanto, ti parla della storia di questo posto. Sorride senza tentennamenti che tu hai gli occhi su di lui puntati. Non sei sicuro di non sognare. C'è una biblioteca internamente, se proprio vuoi fare del bene agli altri devi leggere. Leggere e sapere come si vive altrove. Se hai più del necessario, tu. Gli altri non sempre, lontano da qui. Dove vorresti viaggiare per conoscere altre popolazioni e altre civiltà.
Ed ecco il miracolo che questi luoghi sacri sanno fare, ogni volta che qualcuno sia insicuro di sé e della propria vita, degli obiettivi da raggiungere o delle aspirazioni del proprio essere. Un fardello che ti porti dietro e che non sai scuoterti di dosso, finché non c'è chi ci aiuta. Un libro.
Eccolo, il frate. Si parla dell'Africa, del Burundi, magari.
E qui s'intrecciano le visite di cultura con quelle che sono oltre, più su, dove la fede soltanto può interpretare i linguaggi. Dove arriviamo noi con il massimo della nostra anima.
I ragazzi in gita adesso fanno del chiasso, hanno finito di apprendere ed è un momento di ricreazione, come si diceva una volta. Corrono, strillano, mangiano dei panini, qualcuno beve acqua minerale, seduto a due passi, su un'altra panchina di legno.
E cominci a non sapere se sei lì o nel libro che hai portato con te. Un romanzo. Lo osservi e pensi a Codigoro. Chi lo conosceva prima d'ora? Pomposa! Sì, ma non il paese. Forse è stato molto istruttivo leggere, come diceva il frate dell'abbazia. Una storia che non dovrebbe essere del tutto frutto d'immaginazione.
Il romanzo s'intitola 
Le lunghe strade della solitudine.

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