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Sentenze e massime: Piscina in zona a gricola
(Sentenza TAR Toscana 31 gennaio 2000, n.22)
 Parti e argomenti della scheda: 
Si riporta una interessante sentenza sulla costruzione di una piscina in zona agricola.

Diritto 
Caratterizzazione pertinenziale 
Autorizzazione gratuita 
Nozione di pertinenza 
Impatto urbanistico 
Illegittimità dell'ordine di demolizione 
Decisione
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 Piscina in zona agricola 

T.A.R. Toscana, sez. II, 31 gennaio 2000, n. 22 (presidente Radesi, Est. Politi) 
Nozione di pertinenza – Piscina in zona agricola di dimensioni contenute e ridotto impatto urbanistico –  Costituisce pertinenza soggetta a mera autorizzazione. 
Provvedimento in sanatoria ex art. 13 legge n. 47 del 1985 – Diniego – Motivazione – E' illegittima l'indicazione generica di contrasto con le norme. 

                                            (omissis) 

                                            DIRITTO 

1. Si duole in primo luogo il ricorrente che l’avversato provvedimento, con il quale il Sindaco dl Comune di R. ha respinto l’istanza di concessione in sanatoria dall’interessato presentata in data 27 giugno 1987, sia inficiata sotto il profilo motivazionale, in quanto carente di una precisa indicazione circa le prescrizioni legislative, ovvero urbanistiche, che rivestirebbero valenza ostativa ai fini della realizzabilità della progettata opera edilizia (piscina a servizio di un’abitazione posta in zona agricola). 
Invero, l’impugnato provvedimento n. 12923 adottato in data 29 giugno 1991, reca la mera affermazione che «la costruzione di piscina in zona agricola non è conforme alle Norme Tecniche di attuazione dello strumento urbanistico vigente – P.R.G. comunale». Siffatto apparato argomentativo si dimostra, con ogni evidenza, del tutto insufficiente. 
I provvedimenti di diniego di concessione di costruzione in sanatoria devono infatti essere congruamente motivati con l’indicazione delle ragioni che ostano al suo rilascio e con particolare riferimento alle norme urbanistiche violate, in modo da consentire all’interessato: 
- da un lato, di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla realizzazione del suo progetto e di poterlo adeguare alle esigenze pubbliche che l’Amministrazione ha inteso tutelare; 
- e, dall’altro, di confutare in maniera esaustiva la legittimità del provvedimento davanti al giudice competente (cfr. T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento, 17 febbraio 1994, n. 23; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 19 aprile 1996, n. 322). 
E’ quindi illegittimo, per carenza di motivazione, il diniego di concessione in sanatoria fondato su un generico contrasto del progetto edilizio con norme legislative e regolamentari in materia edilizia (cfr. T.A.R. Valle d’Aosta, 13 dicembre 1996, n. 188; 
T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 febbraio 1992, n. 119; T.A.R. Veneto, Sez. II, 23 dicembre 1991, n. 1428 e 16 febbraio 1991, n. 114); 
dovendo, invece, diffondersi il provvedimento de quo in ordine alle disposizioni che si assumono ostative al rilascio del provvedimento concessorio (T.A.R. Lazio, Sez. II, 7 maggio 1992, n. 1187; T.A.R. Basilicata, 4 dicembre 1993, n.400). 
Non può per l’effetto sottrarsi a censura di illegittimità, per insufficienza della motivazione, il diniego della concessione edilizia in sanatoria richiesta dall’interessato ai sensi dell’articolo 13, legge 28 febbraio 1985, n. 47 che – come appunto nella fattispecie in esame – risulti genericamente motivato col contrasto tra le opere prive di concessione e non meglio individuate prescrizioni degli strumenti urbanistici (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 3 marzo 1988, n. 77; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 1° febbraio 1992, n.10). 

2. Se il Collegio, alla luce delle considerazioni esplicitate al precedente punto 1, non può esimersi dal dare atto della fondatezza della censura ivi esaminata, analoghe considerazioni vanno rassegnate per quanto concerne la natura – meramente autorizzatoria, e non già concessoria – del provvedimento abilitativo nella fattispecie richiesto per la realizzazione dell’opera onde trattasi, avuto riguardo all’evidente caratterizzazione pertinenziale da quest’ultima rivestita. 

2.1. L’articolo 7, II comma, lettera a), del decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9 (convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94) ha infatti stabilito che sono soggette ad autorizzazione gratuita (purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 - oggi decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 - n.d.r.) le «opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti». 

Va invero osservato come la nozione di "pertinenza" – quale risulta dall’articolo 7 ora citato – non coincida con la più ampia nozione descritta dall’articolo 817 c.c. (secondo la quale «sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa»; ed il cui regime, anche per quanto concerne la disciplina degli atti di disposizione, è tratteggiato dal successivo articolo 818 c.c.). 
La prima nozione, invece, che individua gli interventi edilizi "minori", deve essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia; non potendosi consentire la realizzazione di opere di rilevante consistenza solo perché destinate al servizio od ornamento del bene principale. 
La giurisprudenza ha spesso implicitamente seguito questo più rigoroso criterio, ritenendo assoggettate a concessione edilizia opere con evidente destinazione pertinenziale, come piscine (Cons. Stato, sez. II, 2 maggio 1990, n. 1092/89), o chiusure di veranda con vetrate (Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 1992, n. 675); anche se talora è pervenuta a queste soluzioni negando la necessarietà del rapporto pertinenziale (ad esempio, tra piscina e abitazione: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 5 aprile 1989, n. 205). 
Sembra però necessario definire con maggior precisione i limiti della norma in esame (articolo 7, capoverso, lettera a, decreto-legge n. 9 del 1982), per chiarire che il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione quelle opere che da un punto di vista edilizio ed urbanistico si pongano come "ulteriori", in quanto occupanti aree e volumi diversi rispetto alla res principalis. 
Il criterio dunque deve restare ancorato non solo alla necessarietà ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche alla consistenza dell’opera: la quale deve contenersi entro misure minime, sì da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 1993, n. 1041; T.A.R. Piemonte, sez. I, 2 luglio 1998, n. 478). 
In altri termini, il concetto di "pertinenza" ai fini urbanistici non coincide con il concetto civilistico, ma comprende solo opere di carattere accessorio aventi ridotto rilievo dimensionale, prive della capacità di un utilizzo separato ed indipendente e strettamente poste – al pari degli impianti tecnici – al sevizio dell’immobile principale (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, 6 settembre 1993, n. 1081 e T.A.R. Piemonte, sez. I, 4 luglio 1996, n. 553). 

2.2. E che l’opera in questione risulti appieno sussumibile nel concetto di "pertinenza" come sopra delineato – con riveniente assoggettabilità della stessa a regime autorizzativo e non già a rilascio di concessione edilizia – appare, invero, indiscutibile. 
Rilevano, in tal senso, il contenuto rilievo dimensionale della piscina che il ricorrente si era ripromesso di realizzare a servizio del manufatto del quale è titolare; il conseguente ridotto impatto, dal punto di vista urbanistico, dell’opera in questione; nonché l’evidente rapporto di accessorietà e strumentalità della piscina stessa rispetto alla res principalis. 
Siffatte considerazioni risultano invero avvalorate dal contenuto della (citata) pronunzia n. 1041 del 13 ottobre 1993, resa dalla V Sezione del Consiglio di Stato sull’impugnativa dell’odierno ricorrente presentata avverso l’ingiunzione alla demolizione della piscina onde trattasi, adottata dal Sindaco del Comune di R. in data 24 novembre 1986. 
Nella predetta circostanza, la Sezione V ha avuto modo di sottolineare che: 
- laddove "l’edificio preesistente" sia localizzato in zona agricola, non muta il presupposto per l’applicazione della norma, che non distingue affatto tra edifici residenziali o meno, agricoli, ovvero urbani"; 
- il criterio da seguire per l’interpretazione del sistema normativo in materia «deve restare ancorato sia alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale, sia alla consistenza dell’opera, che deve essere tale da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio e che comunque deve inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un effettivo uso normale del soggetto che risiede nell’edificio principale». 
Quanto alla concreta fattispecie portata all’esame del giudice d’appello – la quale, in fatto, appieno si identifica con quella ora sottoposta a delibazione di questo Collegio – va ulteriormente sottolineato come la pronunzia in precedenza citata abbia espressamente dato atto che «la piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha certamente natura obiettiva di pertinenza, e costituisce un manufatto adeguato all’uso effettivo e quotidiano del proprietario dell’immobile principale, sicché non può ritenersi neppure frustrata la ratio delle disposizione della legge n. 94 del 1982». 

3. Se la conclusione nella predetta circostanza rassegnata dal giudice d’appello si è sostanziata nella ritenuta «illegittimità dell’ordine di demolizione incidente su opera soggetta a mera autorizzazione, assentita con la procedura del silenzio assenso ex articolo 7 della legge n. 94 del 1982», non può esimersi questa Sezione dal confermare le considerazioni sopra rassegnate, le quali, ulteriormente confortate dalla decisione del Consiglio di Stato precedentemente citata, univocamente inducono ad escludere che, ai fini della realizzabilità dell’opera in questione, ricorresse l’esigenza del previo rilascio di concessione edilizia, vertendosi in ambito di manufatto avente rilievo meramente pertinenziale (e, in quanto tale, assoggettato a regime autorizzatorio ex articolo 7 - oggi a denuncia di inizio attività ex articolo 4, comma 7, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993, come sostituito dall'articolo 2, comma 60, della legge n. 662 del 1996 - n.d.r.). 
Appieno rileva, alla stregua di quanto precedentemente sottolineato, l’illegittimità dell’avversata determinazione di reiezione della richiesta di concessione in sanatoria, avuto riguardo alla rilevata carenza dei necessari presupposti (nonché al pure constatato difetto motivazionale del provvedimento impugnato, in ordine al quale cfr. sub. 1): conseguentemente imponendosi, in accoglimento del presente gravame, l’annullamento dell’atto adottato dal Sindaco del Comune di R. in data 29 giugno 1991. 
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite. 

                                             P.Q.M. 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione II – accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento del Sindaco di R. n. 12923 in data 29 giugno 1991, con cui è stata respinta la domanda presentata dal ricorrente sig. F.F. in data 27 giugno 1987 per il rilascio della concessione edilizia a sanatoria relativa alla realizzazione di una piscina unifamiliare. 
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


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