L'uso del passato è molto più comodo per uno scrittore, soprattutto se esordiente, giacché egli trova maggiore dimestichezza nel racconto. Quasi che leggesse nei suoi pensieri qualcosa che già è successo e gli è rimasta impresso come traccia. Perciò la storia. E che cosa essa è se non un fatto avvenuto tempo addietro?
Non si creano confusioni di nessun genere con i tempi dei verbi perché viene naturale, quando si racconta, servirsi del passato. Ed è ciò che si consiglia, vivamente, a chiunque si accinga a scrivere un romanzo. Una tale tipologia di opera richiede che i fatti appartengano a un momento che è divenuto obiettivo per chiunque e anche per chi legge. Come è tutto ciò che non possiamo in alcun modo modificare. Semmai si può apprendere da esso per scegliere le azioni del futuro.
Diversamente, nel presente sembra quasi che lo scrittore non sappia come vadano a finire le scene, e si potrebbe creare anche un fastidio nel lettore che mal sopporta un racconto come se ancora non potesse chiamarsi tale. Che è in fase di crescita e sviluppo. Il presente è difficile da usare.
Il passato non solo è comodo ma anche libero da equivoci e più logico, se si può usare questa parola per analizzare un'opera di fantasia. Tuttavia non bisogna dimenticare che la credibilità è la prima sensazione che bisogna fornire al lettore. In modo diverso egli si allontanerebbe dalla storia scritta e chiuderebbe il libro anche dopo poche pagine. Che non si corra questo rischio con un uso non del tutto appropriato dei verbi.
Con il tempo passato si va sul sicuro.
Differentemente nei saggi. Qui, se si tratta di fatti e situazioni che tuttora sono davanti agli occhi di tutti, il presente è d'obbligo e il passato errato. Anche perché bisogna differenziare con coerenza ciò che appartiene a un certo periodo e ciò che è di oggi.
Nei miei due saggi ho fatto proprio così. Nei romanzi sempre il verbo al passato indicativo.
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