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Scrivere: l'aggettivo tragico, senza tragedia

Tragico
Leggiamo sul vocabolario alla voce tragico:
  1. di tragedia;
  2. doloroso, luttuoso.
Dalla voce tragedia rileviamo:
  1. genere fondamentale del teatro drammatico caratterizzato dalla narrazione di fatti gravi riguardanti personaggi importanti e dallo scioglimento luttuoso della trama;
  2. fatto o vicenda tragica, dolorosa.
Ossia siamo di fronte a eventi che si concludono con la morte, oppure nei quali ci siano fatti di sangue.
E allora a che serve insistere su un aggettivo che significa una cosa ben definita, quando si vuole soltanto parlare di dramma? Nel linguaggio comune può anche essere accettato un uso improprio, che si riferisca soltanto all'elemento doloroso della situazione. Ma in un libro non è possibile. Tragico non è drammatico. E vanno distinti l'uno dall'altro.
Quante volte in incidenti conclusisi soltanto con spaventi per gli esseri umani e con danni alle cose si dice che è stato un evento tragico? Spesso. Tanto che non ci facciamo più caso. La narrativa ha bisogno di purezza di frasi, con tutte le sue componenti. Perché uno dei compiti di chi scrive è anche quello di educare alla nostra lingua. A mantenerla nel tempo, a sostenere i suoi modi, la sua autenticità.
Certo che ci sono i cambiamenti, ma se si confondono gli aggettivi, allora siamo messi male, come si suol dire, e uno scrittore non è padrone di ciò che racconta. E' travolto egli stesso dai fatti, tragicamente per l'italiano. Che così muore.
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