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Scrivere: l'avverbio strettamente, largamente usato

Strettamente
Quante volte sentiamo dire, anche da illustri personaggi televisivi o da presunti geni della politica "strettamente necessario"?
La risposta è: infinite volte. Tanto che quasi non ci si fa più caso e si considera come corretto un modo di dire che, se analizzato, vediamo subito come sia piuttosto sgarbato. Proviamo con la definizione che fornisce il solito vocabolario d'italiano relativo all'aggettivo, stretto, da cui l'avverbio deriva:
  1. premuto, serrato con forza
  2. molto vicino, rasente
  3. legato ad altri da vincoli di amicizia, parentela e simili
  4. costretto, spinto
  5. urgente, impellente
  6. che ha dimensioni limitate nel senso della larghezza
  7. rigoroso, severo
  8. puro, detto di dialetti e simili
  9. soltanto, niente altro che, (preposto al sostantivo)
  10. detto di vocale chiusa.
L'unico modo che si avvicinerebbe al significato di strettamente, prima di necessario, sarebbe il numero 5 o il numero 7. Allora proviamo a scambiare l'avverbio con un altro similare di cui ai detti significati. Si avrebbe:
  • urgentemente necessario
  • rigorosamente necessario
In entrambi i casi la forma è tipica di parlate fumose, di chi è abituato a discorrere a un pubblico che, magari, ascolta nell'indifferenza, di chi non scrive libri che devono affascinare il lettore. Poco gusto, insomma. E sempre scegliendo un paio di significati tra i 10 che lo stesso vocabolario prevede.
Allora perché non usare altri modi e altre parole? Se possono essere più decorose?

Invece di dire:
"La procedura che abbiamo scelto era strettamente necessaria."
Trasformiamo in:
"La procedura che abbiamo scelto era la migliore possibile in questo momento di necessità."

Può essere più accettabile? Crediamo di sì, anche per evitare che la lingua ci parli. Ossia ci usi per farci dire ciò che è già scritto. E non siamo noi che scegliamo le parole e come dirle. Se non fosse così, per uno scrittore, sarebbe la morte soprattutto della narrativa. Mentre egli deve essere all'avanguardia. E' lui che articola il linguaggio e lo genera o lo trasforma, quando, appunto, necessario.
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