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Scrivere: la proprietà espressiva


La proprietà dell'espressività
La proprietà espressiva delle parole e delle frasi, soprattutto nella narrativa, è ben diversa dalla proprietà di linguaggio in senso stretto. In questo secondo caso si rimanda all'apposita pagina sull'argomento. Qui, invece, si vuole porre l'attenzione sulla diversità fra significato e capacità evocativa di un vocabolo, se non di un intero periodo. Lo facciamo prendendo subito spunto da una frase:

"Lo fulminò con un'occhiataccia di fuoco."

Appare ovvio che il verbo fulminare è usato in maniera retorica in quanto non esiste alcun fulmine che parta dagli occhi e danneggi lo sguardo altrui. Né esiste alcun fuoco nelle pupille capace di bruciare quelle di chi sia di fronte.
Però la forza espressiva della frase rende l'idea di come il soggetto sia stato in grado di parlare senza parole, essere interpretato con il solo gesto e lo scrittore esperto di comunicare, con sette vocaboli, ciò che poteva essere detto con una lunga sequenza di termini diversi. Eppure non vi è mancanza di proprietà linguistica, a meno che non s'intenda la lingua scritta come una scienza matematica. Ma sappiamo, per averlo detto altre volte, che scrivere è un'arte e come in tutti questi casi bisogna raggiungere il cuore, più che la mente, toccare i sentimenti e farsi capire, oltre anche ciò che si dice effettivamente. Suggerire.
Viceversa potrebbe esistere qualche caso in cui, confidando su questo aspetto del linguaggio, l'espressività, si creda che sia raggiunta anche a costo di andare troppo lontano dal significato delle parole. Ancora un esempio:

"Egli suonava la testa come una campana di chiesa."

La campana dondola, e la testa non suona. Il richiamo appare troppo distante dalla realtà e, invece che avvicinare e comunicare una situazione, confonde il lettore. Perciò si tratta di una falsa espressività, ovvero di qualcosa che va in una direzione opposta a quanto ci si prefigge con l'arte dello scrivere. Molto meglio sarebbe:

"Dondolava la testa come una campana che suona a festa."

La conclusione è che lo scrittore deve considerare ciò che suscitano nel lettore le parole del libro, non in senso tecnico. La pulizia che molti editor vogliono imporre al manoscritto è sbagliata, se si valuta come arte il prodotto di un romanzo, allo stesso modo che si potrebbero trovare innumerevoli imprecisioni nelle poesie. Cosa che nessuno si sognerebbe. Altrimenti, e per esempio, dovremmo segnare errore grave quel "maestrale urla e biancheggia il mare" del Carducci, quando usa il verbo urlare, secondo i critici, in senso transitivo.
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