Dialetto
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La lingua parlata a Frosolone: la fonetica

 
Con le parole soltanto scritte è abbastanza difficile descrivere il modo di pronunciare un vocabolo o una frase, ma alcune regole di base si possono elencare.  Non si userà l'Alfabetico Fonetico Internazionale (IPA) in quanto troppo complesso per chi vuole sapere con immediatezza, e senza studiare codici, come si pronuncia una parola. In questo sito ci si riserva di aggiungere, un domani, dei file audio per meglio esprimere il modo e l'accento della frase dialettale di Frosolone.
Prima di tutto si farà riferimento all'italiano e con esso si diranno le differenze. Ecco allora che bisogna subito parlare di vocali e consonanti. Le prime mancano quasi sempre nelle parole dialettali di questo posto. Tutto finisce con una consonante, oppure con una e muta, ossia appena accennata e gutturale. Per esempio nel sostantivo fesciuol(e), corrispondente all'italiano fagioli. E così scriveremo le parole tutte le volte che finiscano con una vocale accennata nel suo suono, ma non del tutto pronunciata.
Per una corretta pronuncia ci si avvarrà anche dell'accento sulla vocale che si diversifica, nel caso, dall'italiano. Diversamente rimarrà senza accento. Per esempio vrìt(e), italiano vetro, laddove ci si deve fermare sull'unica vocale i e non sulla consonante finale come se fosse il suono del vocabolo bit. E no, perché diversamente si avrebbe un suono con altro significato, da scrivere vritt e che corrisponde all'italiano sporco.
La finale accentata è rara ma comunque presente. Soprattutto nei verbi all'infinito, dove viene eliminata la sillaba finale re.
Magnà in italiano mangiare;
v(e)dé in italiano vedere;
sci in italiano uscire.
Poi esiste anche un modo di iniziare la pronuncia di alcune parole, con l'elisione della prima vocale. Per esempio 'ndo che corrisponde all'italiano Antonio, oppure 'ndratt che significa entrò.
Altri casi di elisione sono tra la preposizione e il termine successivo, come n'copp che vuol dire sopra. Questa espressione deriva da nel coppo, ossia nella sommità di qualche oggetto. Nel dialetto originario, anche se è alquanto difficile stabilire l'origine a cui riferirsi, bisogna intendere che tutte le espressioni del tipo avessero la stessa forma: n'cas(e), ossia nel caso, oppure n'cuorp(e) che vale come nel corpo.
Per spiegare la pronuncia della vocale i, associata a un tempo maggiore di permanenza sulla stessa, si userà ij, come nel caso di ijam(e), che significa andiamo come voce del presente indicativo. E la cui unica m finale vuol significare come sia di pronuncia morbida e non doppia come in una famosa canzone napoletana (Funiculì funiculà). Per la verità esiste anche la forma jamm(e) ma si riferisce a un invito o un ordine di fare presto. Andiamo nel senso di sbrigati.
La e, quasi sempre, è pronunciata stretta come in perché. Tranne in alcuni casi come nei verbi al passato remoto: esempio v(e)nètt(e), ossia venne in italiano, oppure d(e)cètt(e), corrispondente all'italiano disse.
La e stretta la troviamo anche nei nomi propri, come Raffajel(e), Raffaele, con la elle finale appena accennata. Tale nome si trova trasformato anche in Fajel(e) o Papel(e), sempre con la elle appena accennata e non doppia.
La consonante zeta deve essere pronunciata sempre come ts e mai come ds. Così abbiamo zizì (pronuncia tsitsì) che significa, in italiano, zio (pronuncia dsio).
Molte altre regole, anche se questa sezione viene aggiornata di continuo, saranno illustrate, di volta in volta, nei paragrafi elencati nell'indice.

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